"Vorrei una vita da film". 


A chi di noi non è mai capitato di dirlo o anche solo pensarlo, forse è una delle poche che ci accomuna tutti. 
Infatti la nostra vita è proprio un film, noi ne siamo i protagonisti e molte persone, lungo il percorso, entrano a fare parte del cast. 
Tenendo la metafora cinematografica di fondo, possiamo riconoscere che in noi i disagi ei problemi psicologici insorgano quando le varie sceneggiature che si intrecciano non seguono la stessa trama. Ad esempio nella fine di una relazione ciò che maggiormente addolora è che spesso non avviene all'unisono nei rispettivi copioni. Uno dei due vorrebbe continuare ad avere l'altro nella propria vita mentre l'altro ha deciso che è arrivata la fine per quel personaggio. Quindi in un film si continua inutilmente a ideare nuove scene, nell'altro si è già andati avanti. Ciò che aiuta a superare questi momenti è cambiare il presupposto di base, cioè che noi siamo i registi della nostra vita, che lavoriamo con unico attore sempre presente sul set: noi stessi. Tutti gli altri che ne entrano a far parte cambieranno, si trasformeranno, se ne andranno, e il protagonista ha il compito di tirare fuori il suo essere poliedrico da vero artista capace di riadattarsi alla nuova scena e al nuovo cast. Il nostro produttore è la vita, sapersi piegare al suo volere consentire di rimanere in concorso.

Dott.ssa Schilirò Barbara Maria Rita

Adolescenza

Virale è uno dei tanti termini ormai entrati prepotentemente nel nostro lessico quotidiano, sempre più povero di sinonimi. 
Qualunque cosa “diventa virale” spopola e si impone all'attenzione.
L'impatto di ciò che è virale si impone anche alle nostre scelte, a cominciare - per esempio - dalle serie tv da guardare.
L'ultimo caso è la miniserie Adolescent, osannata da recensioni estatiche. Me ne hanno parlato amici appassionati di serie televisive, i pazienti in terapia, i genitori dei compagni di mio figlio.
Il tema affrontato nella serie mi ha colpito e ancora di più in quanto madre di un ragazzino e professionista.
La narrazione offre davvero molteplici spunti di riflessione, che dovrebbero portare ad interrogativi molto profondi.
Mi domando se quello che nasce come fenomeno mediatico di denuncia di un bisogno di una maggiore attenzione a uno dei passaggi di crescita più delicati dello sviluppo della personalità non segue la stessa modalità di restare in superficie.
La sensazione che accompagna gli episodi è l'angoscia di come un'apparente normalità, può essere stravolta. Tale angoscia diventa pervasiva e inizia a scorrere dentro facendo accrescere i livelli di ansia. 
L'interrogativo che personalmente mi ha suscitato e che sempre più spesso mi suscita l'osservare il mondo e la società che viviamo è: che fine hanno fatto gli adulti? Quali sono i modelli da seguire? 
La vita scorre sui social, tutto è effimero, in un'apparente vicinanza e immediatezza di contatto si sta strutturando una falda di solitudine e indifferenza alla quale sembra che siamo anestetizzati.
Oggi per i ragazzi è davvero difficile crescere navigano alla cieca, con la testa china sugli schermi sui quali è possibile scrivere di tutto perché senza l'incontro dello sguardo diventa facile dire anche l'indicibile. 
Bisogna allenare lo sguardo al dettaglio, alle sfumature per educare il sentire.
Mancano in questa serie dei dettagli, dei passaggi, dei vuoti che vanno colmati, personaggi fantasma che dovrebbero entrare in scena e farsi carico di responsabilità che vengono altrimenti riversate sull'adolescenza e su quelle dinamiche che da sempre l'hanno caratterizzato. 
Da professionista mi porto le lacrime della psicologa alla fine del colloquio peritale, quelle lacrime che sciolgono la valanga emozionale che scorre nel corso di un colloquio nel quale si deve mantenere l'attenzione a cogliere gli elementi per esprimere una valutazione. 
Da professionisti ci esponiamo costantemente a radiazioni emotive con la nostra umanità.È vero che l'intervento di supporto deve diventare strutturale e capillare e altrettanto vero che come nella favola africana dell'incendio e del colibrì ognuno deve tornare a fare la propria parte affinché le cose possano davvero trovare un viraggio diverso.

Dott.ssa Schilirò Barbara Maria Rita

" Com'era Parigi? ". " Parigi è camminosa " Così F. 7 anni, tornato da un viaggio con la propria famiglia definisce la città che ha visitato. CAMMINOSA è un neologismo che apre alla riflessione, le città, i viaggi, l'esperienze sono fatte di passi. La nostra vita è camminosa. L'augurio, per le festività ormai imminenti, è che questi giorni che vivremo possano essere ricchi di passi che lascino tracce lungo il percorso che stiamo compiendo. Una spinta ad andare avanti e scoprire via via il nostro cammino. Buone feste!

 

Disallineamenti...

L'altalena gioco da bambini che non conosce età, forse perché metafora della vita; in un momento ti sospinge in alto e ti fa sentire l'ebbrezza del vento e dell'altezza e poi ti riporta giù, in un andirivieni di emozioni e sensazioni. È un gioco che si può fare da soli, imparando a slanciarsi, ma che insegna, sin da bambini, la fiducia nell'Altro, in un totale abbandono a lasciarsi andare. Molto più appagante ed emozionante quando si ha accanto qualcuno con cui giocare, un compagno, una compagna; abbastanza vicino per toccarsi e abbastanza distante per non invadere il confine di soggettività. Confine che non va oltrepassato per non scoprire il segreto che ognuno porta dentro di sé. Cosa succede se però c'è un disallineamento di seduta? Il gioco perde slancio e tutto si complica.

Nati per vincere ( è il titolo di un famoso libro di analisi transazionale. ) E poi che succede? Sta proprio lì la differenza, in tutto quello che ci succede da quando veniamo al mondo in poi. Non sono tanto le esperienze che viviamo ma il colore con le quali le tinteggiamo. Ora ci sono persone che hanno tavolozze ricche di tanti colori e sfumature e poi c'è chi, invece, ha solo il bianco e il nero una dicotomia rigida che spinge spesso a stare male. il nero diventa il colore che il più delle volte si ritrovano ad utilizzare, anche perché dimenticano di avere con sé anche il bianco. La luce bianca attraversando un prisma grazie al principio della rifrazione si separa nei colori che la costituiscono generando un arcobaleno. Quel prisma è dentro di noi, a volte è solo necessario che qualcuno ci guidi a ritrovarlo. Aver vissuto in un mondo buio, per un lungo periodo, fa aver timore della luce. Ci si convince che serve molto tempo per ritrovarla. A volte, invece, basta creare il giusto varco per permettere alla luce di tornare a splendere dentro e riscaldare.

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